La porchetta
E' la degna rappresentante della cucina del Lazio e delle Regioni confinanti, anch’esse “in lotta” per poter vantare l’origine di questo piatto antichissimo, ricco di sapori che si esprimono al meglio quando la carne di maiale viene servita tiepida. Nella tradizione però si mangia spesso fredda tra due fette di pane rustico e un bicchiere di vino.
Animale povero, cucina ricca
Il maiale è stato sempre allevato facilmente in tutte le famiglie contadine, perché si nutriva soprattutto degli avanzi della cucina e dell’orto, perché si cercava da solo le radici nei campi, perché ogni sua parte poteva poi essere utilizzata. Animale “povero” ma, in alcune situazioni, protagonista di una cucina ricca. Nel Medioevo, per esempio, nelle feste dei Nobili, spesso veniva cucinato intero e farcito con la carne di altri animali, selvaggina e volatili sopratutto.
Il cibo tradizionale delle rustiche trattorie
Nel Lazio, dove la porchetta è una specie di “piatto nazionale” i piccoli agricoltori e i vignaioli sparsi nelle campagne non sempre facili da raggiungere, avevano bisogno di luoghi stabili dove far arrivare verdure, uova, piccoli animali e vini e in cui attirare i compratori.
Questi luoghi all’inizio erano delle semplici capanne lungo la strada, poi delle piccole grotte scavate nelle rocce tenere di tufo sopra le quali si adagiavano i piccoli paesi. Come segno distintivo, visto che non esistevano certo insegne luminose e nemmeno scritte, appendevano fuori da questi locali un lungo ramo con delle foglie, che nella lingua si chiama frasca. Queste grotte o piccole stanze dove si trovavano in realtà pochi prodotti da acquistare ma abbondanza di botti di vino, vennero chiamate “fraschette”. Ancora oggi ne esistono alcune, specie a sud est di Roma, nella zona dei Castelli Romani. Hanno le stesse architetture rustiche ma sono state trasformate per lo più in trattorie ben organizzate.
Tra i clienti che si fermavano a bere il vino in queste fraschette c’erano molti carrettieri, che trasportavano dei piccoli maiali, chiamati porchetti (ovvero piccoli porci) cotti allo spiedo, intorno a un bastone di legno ancora infilzato. Dopo essere stati svuotati da viscere e ossa, riempiti di spezie, sale, pepe, aglio e abbondante finocchio selvatico e poi legati stretti per non far disperdere questi condimenti durante la cottura. Erano maiali di piccole dimensioni perché sui carri se ne potevano mettere di più e perché erano più facili da vendere agli ambulanti incontrati lungo la strada e ai proprietari delle fraschette.
Il segreto del successo della porchetta stava nella combinazione degli aromi e nelle tecniche di cottura, che doveva saper valorizzare tutte le parti del piccolo animale. Per esempio una vera prelibatezza ancora oggi è considerata la pelle, quando è lucida e decisamente croccante.
Individuata in un quadro di Leonardo da Vinci
Le origini delle porchetta sono davvero remote, anche perché cuocere animali allo spiedo è usanza molto antica. Una porchetta dalle stesse caratteristiche di quella odierna è stata individuata di recente come particolare di un grande dipinto di Leonardo Da Vinci, vissuto tra il 1452 e il 1519. Il quadro fa parte della collezione privata della Regina Elisabetta d’Inghilterra e dunque non è mai stato molto disponibile per gli studiosi d’arte. Ecco perché la scoperta del particolare è recente.
Leonardo da Vinci fu un grande artista e ingegnere, ma anche un super appassionato di vini e un gastronomo, esperto di cibo e anche inventore di alcuni attrezzi da cucina che oggi ancora usiamo.
Il vino giusto
Ideali sono gli Spumanti secchi, perché le loro bollicine effervescenti contrastano bene il sapore del grasso della carne di maiale (nella porchetta anche le parti grasse e ben cotte sono molto apprezzate). Possono fare buona compagnia al piatto anche vini bianchi fermi dell’Italia centrale, come Verdicchio e Trebbiano. Buon successo anche dei rossi di media intensità come il Nebbiolo e il Cannonau di Sardegna, altra regione dove la cottura dei piccoli maiali allo spiedo è decisamente legata alla tradizione.