È il dolce tipico di Milano, fino a qualche anno fa era servito a fine pasto o come spuntino per la colazione oppure per accogliere gli ospiti improvvisi quasi sempre in occasione delle feste di fine anno, tanto da essere stato definito per qualche tempo “il dolce di Natale”. Oggi sono sempre più le pasticcerie che lo inseriscono nella lista dei dolci da proporre tutto l’anno. Il panettone identifica la città di Milano, fino a quasi diventarne un simbolo, ma è curioso notare come i migliori artigiani pasticceri artefici di questo soffice dessert si trovino soprattutto nelle regioni del centro e del sud dell’Italia.
Due forme che convivono
Il panettone in origine usciva dal forno con la forma di un grosso pane (da qui deriverebbe il suo nome) perché conteneva una quantità di sostanze grasse molto ridotta e dunque poteva essere cotto normalmente, senza nessuno stampo intorno. Quando intorno al 1920 Angelo Motta, un pasticcere che avrebbe poi creato una delle più grandi industrie dolciarie italiane, iniziò ad aggiungere all’impasto una grande quantità di burro e di tuorli d’uovo, fu costretto a stringergli intorno una specie di fascia di carta di paglia (altrimenti l’impasto morbido si sarebbe appiattito come una pizza), dando così al dolce una forma verticale, come una piccola torre. Oggi però alcuni pasticceri, sollecitati anche dalla richiesta salutista di avere un dolce meno ricco di grassi naturali, stanno tornando a produrre panettoni artigianali bassi, facendo convivere le due forme.
La preziosa farina di frumento
Intorno alle origini del panettone ci sono molte storie. Quella che risulta più vera è documentata in un manoscritto della fine del 1400, in cui si descrive una serata familiare tipica del 24 dicembre in cui si servivano a tavola tre grossi pani di frumento. Il capo famiglia li tagliava in grosse fette, le serviva a tutti i commensali e metteva da parte una fetta per l’anno successivo, in segno di continuità della pace raggiunta nel particolare giorno di festa. Il frumento era un cereale allora molto pregiato e costoso e gran parte dei forni di Milano avevano il permesso di usarlo per il pane solo a Natale. Considerata l’occasione speciale, qualche fornaio cominciò ad arricchirlo con piccoli pezzi di mela e chicchi di uva avanzati dalla vendemmia autunnale e dunque appassiti.
Solo nella metà del 1800 si trovano libri di cucina in cui si parla di arricchimento con burro, uovo, uva sultanina, zucchero e mandorle e di utilizzo del lievito, che fa gonfiare l’impasto dandogli una forma più regolare e morbida e una consistenza più soffice. Oltre al Panatton (nel dialetto di Milano) da consumare a Natale, venivano prodotti anche i Panattonin, piccoli panettoni, per tutto l’anno.
Il pane di Tony
Il nome “panettone” vanta anche una origine leggendaria ancora molto raccontata e risalente alla corte di Lodovico il Moro, Duca di Milano alla fine del 1400. Nelle cucine del Duca uno chef aveva bruciato il dolce preparato per un importante banchetto. In suo aiuto intervenne un giovane aiutante, di nome Tony, che rapidamente preparò un impasto con tutto quello che in quel momento si trovava sul tavolo della cucina: uova, farina, zucchero, uva, frutta candita e aggiunse, forse casualmente, un po’ di lievito, ottenendo così un impasto più morbido e gonfio del tradizionale pane. Dopo averlo cotto lo portò in tavola ottenendo un grande successo. Quel dolce inventato non aveva naturalmente un nome così venne chiamato semplicemente Pane del Tony, parole che poi, unite, divennero “ pandeltony” e in seguito “panettone”.
Il vino giusto
Con il panettone consigliamo vini spumanti dolci e vini Moscato, anche se qualche esperto consiglia abbinamenti anche con spumanti brut o extrabrut. L’importante è che siano vini con le bollicine, perché queste contribuiscono a rendere meno evidente il gusto accattivante ma a volte eccessivamente “grasso” del burro che il panettone contiene in grande quanti